venerdì 13 giugno 2014

Ho donato i miei ovociti: la storia di Alessandra (Seconda Parte)

Doreen Dotto via Wikimedia Commons
Nella prima parte di questa storia Alessandra, italiana residente in Spagna, ha spiegato le motivazioni che l'hanno spinta a donare i suoi ovociti a una clinica della fertilità per la fecondazione eterologa di aspiranti mamme affette da sterilità. "Dal momento in cui ho fatto la mia scelta e mi sono rivolta alla clinica, sono stata sottoposta a una serie di controlli, per escludere qualunque ostacolo alla donazione", racconta.

Gli esami

"Ho parlato con un dottore che ha ricostruito la mia storia medica e quella della mia famiglia", spiega. "Si è informato su eventuali precedenti di malattie ereditarie. Ha avuto qualche perplessità quando ha saputo che la mia famiglia è di origine sarda e dunque ho un maggior rischio di essere portatrice di anemia mediterranea, ma i successivi esami hanno escluso questa eventualità".
Le aspiranti donatrici di ovociti vengono sottoposte ad analisi del sangue per le più comuni malattie genetiche. "Di solito si esegue il test per la fibrosi cistica e in alcuni casi, se provengono da aree a rischio, quello per l'anemia mediterranea", spiega il ginecologo Andrea Borini, presidente della Società Italiana Fertilità, Sterilità e Medicina della Riproduzione. "È previsto anche un esame del cariotipo per escludere alterazioni cromosomiche che potrebbero aumentare il rischio di aborto spontaneo. Altri esami del sangue prescritti di routine sono quelli per le malattie infettive: HIV, epatite B e C e sifilide. Infine è previsto un tampone cervicale per escludere la clamidia".
Terminata la trafila dei test, Alessandra è stata sottoposta a visita ginecologica ed ecografia pelvica. Infine, a un colloquio con una psicologa. "Tra le altre cose, mi ha chiesto che cosa provavo all'idea che dai miei ovociti donati potessero nascere dei bambini che sarebbero stati a tutti gli effetti figli di altre donne", racconta la ragazza.
"Il colloquio ha la funzione di tutelare il benessere psicologico della donatrice", spiega la psicologa Laura Volpini, presidente della neonata Associazione Italiana Donazione Altruistica e Gratuita dei Gameti. "Serve ad accertare che la donazione sia un gesto pienamente consapevole e volontario, che la donna sia serena nella sua scelta. Di solito, se la decisione è stata ben ponderata, la donatrice prova soddisfazione per il gesto altruistico. Possono subentrare dei rimorsi in alcuni casi particolari. Per esempio, se la donatrice si sottopone a sua volta a PMA e il trattamento non ha successo, potrebbe provare del risentimento pensando che gli ovociti donati ad altre donne sono invece andati a buon fine".

Canwest News Service attraverso Wikimedia Commons
La procedura

"Tre o quattro giorni dopo l'ultima visita, i medici della clinica hanno chiamato per comunicarmi che andava tutto bene e potevamo procedere", racconta Alessandra. "Ho firmato un consenso informato molto dettagliato e ho dato la mia disponibilità ad assumere i farmaci prescritti ogni giorno agli orari previsti e a sottopormi a visite ed ecografie a giorni alterni per un mese, fino al prelievo degli ovociti".
Inizialmente ad Alessandra è stato prescritto un contraccettivo per alcuni giorni. "Non sempre è previsto", spiega Andrea Borini. "È necessario nei casi in cui bisogna sincronizzare il ciclo della donatrice con quello della ricevente, in modo tale che gli ovociti siano maturi e pronti al prelievo nel momento giusto per fecondarli e procedere con l'impianto dell'embrione".
In seguito le sono state prescritte delle gonadotropine per stimolare la maturazione contemporanea di più follicoli. "Erano delle iniezioni sottocutanee che dovevo farmi da sola sulla pancia", racconta Alessandra. "Due al giorno: una pizzicava un po'. Gli orari delle iniezioni andavano rispettati rigorosamente e se ritardavo per qualche ragione dovevo chiamare un numero di telefono della clinica e chiedere istruzioni".
Nel corso del trattamento non ha provato alcun fastidio, ma ha notato alcuni cambiamenti fisici. "Mi è cresciuto il seno e avevo l'addome un po' gonfio", spiega, "ma alla fine di tutto sono tornata alle condizioni di partenza".
Al termine del mese, la donatrice è andata alla clinica per il prelievo degli ovociti maturi. "Mi hanno sedata e mi sono addormentata. Non ho sentito niente", racconta. "Sono tornata a casa la sera stessa, ma nei giorni successivi sono andata ancora alal clinica per una visita di controllo con ecografia. Avevo un piccolo versamento di sangue nell'ovaio e nei due giorni successivi al prelievo ho avuto dolori addominali piuttosto forti. La dottoressa mi ha rassicurato: il versamento si sarebbe riassorbito da solo. In effetti in seguito sono stata bene e non più avuto problemi".
Il prelievo degli ovociti è un intervento mini invasivo. Si effettua con un sottile ago che raggiunge l'ovaio per via vaginale. Normalmente non ha alcuna conseguenza negativa per la salute della donatrice. "Alcune donne possono provare dolore all'addome nelle ore successive, più o meno accentuato, ma è un disturbo superabile con un analgesico e si risolve poi spontaneamente", spiega Borini. "Sono previsti dei controlli per verificare che le ovaie siano tornate alla loro attività fisiologica".

Non perderti la terza e ultima parte della storia di Alessandra, con l'intervista a un avvocato sugli aspetti legali della tutela dell'anonimato della donatrice, conservandone però i dati medici, e sulla posizione giuridica dei bimbi nati da fecondazione eterologa.


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